Sunday 1 February 2015

Beasts of the Great Wild

-Dico sempre che gli uomini sono tutti uguali, eppure non l'ho mai creduto.

Jules è sparita nei dormitori, da qualche parte tra i freddi corridoi dello Skyplex. Lui queste parole le dice mentre si sta iniettando un'altra dose di Switch. L'ago gli scivola nel braccio per la seconda volta nella stessa notte, grazie all'offerta generosa di un ragazzino magro, consumato, che lo guarda con occhi vacui su divani sporchi, rintanati negli angoli.
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Pavel Korshunov ha avuto bisogno di un figlio prima del momento in cui io ho avuto bisogno di un padre. L'ho capito negli anni. L'ho capito forse dopo la sua morte, quanto Pavel abbia avuto bisogno di me. Ho sempre creduto di essere io quello che aveva avuto bisogno di lui, invece no. Eppure non me lo ha mai imposto, non ha mai preteso da me un affetto che ho finito per concedergli comunque. Questo lo definiva come uomo: Pavel non pretendeva nulla, Pavel si guadagnava ogni cosa. Pavel era un uomo di acciaio. Pavel era una bestia di una determinazione vasta, brutale. Eppure non era un ipocrita. Non mentiva mai a sè stesso, non mentiva ai suoi uomini. La prima volta che ho ucciso per lui avevo quindici anni, e ho sparato da lontano. Non dissi nulla, dopo. Rimanevo in silenzio, cercando di non lasciar capire che ero turbato. Confuso. Fingevo un distacco che non avevo. Fingevo di non avere paura. Pavel venne nella mia cabina quella notte, con sigarette e vodka. Mi colpiva per essere capace di una sensibilità inaspettata da un uomo duro come lui.

- Ho visto molti giovani ragazzi fare i gradassi. Prendere una pistola, sparare. Ammazzare. Vantarsi di non provare dolore. E fanno tutti la stessa fine. Si fanno ammazzare qualche anno più tardi in qualche maniera stupida, fanno un passo falso. Troppo sicuri di loro, troppo marci. Uccidere non è facile, mal'chik. Tu l'hai fatto da lontano oggi, ma tra qualche giorno magari dovrai stare di fronte ad un uomo e guardarlo negli occhi mentre lo ammazzi. Non ti mentirò e tu non mentirai a sè stesso. Non è facile. Avrai la sensazione di migliorare con gli anni, solo perchè la forza dell'abitudine è un meccanismo potente. Ma la verità è che non lo diventa, facile. Ma la differenza tra un bambino e un uomo è che un vero uomo fa quello che deve fare, indipendentemente da quanto è difficile. Il Verse è pieno di bambini, uomini ce ne sono pochi. Mi capisci?"
- Si.
A tutt'oggi, so che aveva ragione. Immagino di dover ammettere che uno dei motivi per cui preferisco sparare da lontano è la distanza che metto tra me e loro. Ma molte volte ho dovuto giustiziarli da vicino, un colpo alla nuca e via. Odio quando si mettono a piangere. Quando divento il loro confessore perchè capiscono di aver mandato tutto a puttane. Eppure ho seguito i suoi insegnamenti, non ho mai lasciato un lavoro incompleto, indipendentemente da quanto disturbato fosse quello che mi chiedevano di fare. Non ho mai lasciato scappare nessuno. Non ho mai ceduto alle suppliche, alle lacrime, alle offerte, ai tentativi di corruzione. Ora mi provocano un fastidio non diverso da quello delle infezioni o dell'orticaria.Metto in conto di doverci fare i conti la notte e di dovermela far passare entro l'alba.
Mi sono chiesto per molti anni come mai Pavel Korshunov mi abbia preso con sè, quel giorno di ottobre a Labour Town. Ero un ragazzino come molti ragazzini cresciuti tra le fabbriche che deve aver visto. Anche su Koroleva. Di certo non lo capivo allora. Ma guardavo lui, i suoi uomini, i membri di quell'equipaggio e mi sentivo ricolmo di un'ammirazione feroce. Guardavo i loro crani rasati a zero, i loro tatuaggi. Li ascoltavo ridere in cambusa mentre pulivano i fucili. Guardavo Pavel guidarli come un leone di ferro, ero estasiato. Mi rasarono la testa anche a me. Lo fece Korshunov in persona, una notte. Eravamo tutti ubriachi, forse anche lui, per quanto fosse sempre difficile riconoscere la differenza. La sua voce aveva la capacità di risuonare potente come ruggiti, sporca e violenta. Eppure mi teneva la testa tra le dita con un affetto viscerale, anche se avevo la sensazione che avrebbe potuto spaccarmela a mani nude come una noce di cocco, a volte.
- Siamo come lupi, mal'chik. Le uniche regole sono le nostre regole. Le nostre voci cosí forti che i fucili dei bracconieri si piegano nella neve. Non possono fermarci. Non vogliono farlo. Hanno bisogno delle nostre fauci perchè le loro non sono abbastanza affilate. Io non ti lascerò mai indietro, boy. Io sarò sempre al tuo fianco. E so che tu non mi tradirai mai. Tu e io, siamo bestie senza catene.
Ed era vero. Non ho mai visto un altro uomo venire rispettato quanto il Verse rispettava Pavel. Che fossero criminali, senatori corrotti, soldati o capi di stato. Ognuno di loro sedeva davanti a lui e stava nei ranghi. Ognuno di loro sperava di guadagnarsi i suoi servizi, i nostri servizi, come se fosse stato uno Yiji della Shouye, non un mercenario. Non un soldato. Non un assassino. Era difficile non temerlo. Non l'ho mai visto tentennare di fronte a nulla. Non l'ho mai visto indietreggiare. Nemmno la notte in cui è morto. E' morto con la faccia rivolta verso quelli che l'hanno ammazzato.
Ma di lui ho visto anche cose che sono state precluse agli altri. Ho visto l'amore per sua figlia. Un amore che ha dovuto coltivare a distanza, in silenzio. Non avendo potuto coltivare il rapporto con la madre della ragazza, ha riversato su di lei una premura estrema, cauta quanto costante. Ha fatto in modo che non le mancasse mai nulla. Ha fatto in modo che crescesse negli agi. La visitava quando possibile, e lo ricordo fremere con una tenerezza commovente per settimane, prima. Olga non ha mai saputo con certezza cosa facesse suo padre, ma sono sicuro che una parte di lei lo avesse capito, metabolizzato e accettato. Sapeva del suo passato nei servizi segreti di Koroleva, poi il buio. Eppure quell'uomo riusciva a mandare abbastanza soldi da farle vivere una vita comoda e sicura. Quasi di classe. Si assicurava che avesse i migliori precettori. La guardava crescere da lontano dal freddo della sua cabina con gioia triste. A volte mi raccontava di questo o quel successo che aveva addolcito la vita della figlia. "Olga ha vinto la gara di pianoforte, sono molto orgoglioso." O mi mostrava le foto. "Olga si è tagliata i capelli corti alle spalle, guarda come le stanno bene. Spero che il suo uomo la tratti come merita, lo tengo d'occhio." "Male che vada lo ammazziamo." Avevo detto io. Lui aveva riso. Io non sapevo cosa provavo per Olga. In qualche modo, era diventata come una sorella che non avevo mai conosciuto.
Eppure quando c'è stato il suo funerale e abbiamo seppellito una scatola con dentro le sue armi e i suoi vestiti perchè non avevamo un corpo, lei è venuta. E mi si è avvicinata, con la dolcezza con cui si avvicina un famigliare. Mi toccò il braccio come se sapesse chi ero. Come se mi conoscesse da anni.
- So che hai fatto di tutto per salvarlo, Robin. Papa mi parlava sempre di te.
E' stato lí che ho capito che avvenivano le stesse cose che avvenivano tra noi, con lei. Lui le mostrava la mia foto. Parlava di quanto fossi bravo ad ammazzare la gente. Diceva che ero il figlio che aveva sempre voluto. Che ero un vero uomo. Ci sono cose che un vero uomo non farebbe mai.

Come tradire i compagni. O non portare a termine gli incarichi per debolezza. O cercare la strada più facile. O pretendere cose che non si sono guadagnate.

Questa è la differenza tra un uomo come Jonas Kudrow e un uomo come Pavel Korsuhnov. Lo capivo anche quando li guardavo seduti alla stessa scrivania, uno da un lato, uno dall'altro. Kudrow con un'offerta sul piatto, Pavel con la consapevolezza di poterla rifiutare. Li guardavo e sapevo che erano fatti di due materiali diversi. Uno dei due era fatto di merda molle. Quando ci ha mandato dietro i sicari Pavel era su Reno. L'ho chiamato mentre stavo sdraiato per terra in una stanza di motel crivellata di colpi, con il cadavere di Delaney riverso accanto.
- Quel figlio di puttana ci ha fatti seguire, dopo averci pagato.
Ricordo l'imprecazione rabbiosa in russo dall'altra parte del telefono.
- Lo sapevo che quel bambino puzzava di piscio.

Non come lui. Non come me.

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..sei entrato in ufficio e mi hai sorriso, ecco perchè non ti avevo riconosciuto l'altro giorno. Sei cambiato. 

 

J

Thursday 29 January 2015

Like no other

Zhao gli si arrampica addosso mentre lui fuma. E' sdraiato di schiena sul letto, sono entrambi nudi. Hanno scopato, nella stanza si sente odore di sesso. Sente un velo di sudore asciugarglisi contro la pelle dietro al collo. Le cosce magre della donna gli sfregano contro il bacino mentre lei gli si mette seduta addosso a cavalcioni, i lunghi capelli neri e lucidi si spargono sul corpo secco, sui seni esposti. Gli occhi a mandorla, duri, lo frugano inquisitori prima di allungare dita sottili e recuperare la sua sigaretta, portandola alla bocca. Prende una boccata di fumo che gli soffia addosso.

"I missed you."

La confessione viene fatta con la voce che gorgoglia bassa, sensuale quanto stanca, soffocata. Lui le sorride senza trasporto, sospira.

"I'm sorry."
"Ti sei scopato altre donne?"

La domanda è incredibilmente priva di ferocia, ma piuttosto lasciata cadere sul suo petto con la rassegnata amarezza di chi conosce già la risposta. Lo lascia comunque leggermente interdetto. Questa volta ad allungare la mano verso la sigaretta è lui, riprendendosela con delicatezza, ripiegando l'altro braccio dietro la testa.

"Si."
"Ti sono piaciute? Più di me?"
"Stop it."

Lo pretende senza urgenza. Zhao fa scorrere le dita contro il suo collo, scivola lungo il corpo nudo.

"Ti sei scopato anche lei?"
"Lei chi?"
"Quella di Greenfield."
"Non è di Greenfield, è di Hera. E praticamente è un uomo."
"Però quando io ti ho organizzato un colloquio qui sullo Skyplex tu te ne sei fottuto. Nemmeno ci sei venuto. Lei ti propone di partire per chissà dove, per chissà quanto, a farti ammazzare per due soldi, e tu corri. Corri, vero? Come i cagnolini."
"Stop it."

Questa volta l'intimidazione è più secca. Le tiene gli occhi neri addosso, fermi. L'espressione ha perso parte del molle abbandono che aveva prima, è cupa, solida.
Zhao lo fissa, con una smorfia frustrata, cruda, che le attraversa la faccia. Lui prende una boccata di fumo, brontola un mormorio asciutto, basso.
"Non ho voglia di litigare."
Lei rimane in silenzio. I fianchi magri le si muovono lenti, con un fruscio che lo costringe a deglutire a vuoto.
"I know you like no other." La voce di donna si fa un sussurro sibilante, roco, soffice. Gli rabbrividisce nella nuca.
 "Shut up."
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Tuesday 13 January 2015

Counting minutes like sheeps

Meili, Labour Town, Dicembre 2516 - Notte

Gli appartamenti sono ammassati l'uno contro l'altro in una giungla sintetica e inquinata di palazzine in cemento e metallo. Milioni di finestre come uno sciame di lucciole fioche. Le luci e i colori dello schermo illuminano una stanza altrimenti avvolta in una penombra quasi completa. Le pareti sono ricoperte in carta di riso economica. La holo-tv trasmette degli annunci pubblicitari. Una figura animata, antropomorfa, impugna delle bacchette pronta a gustare un nuovo preparato istantaneo. Cibo sintetico. I colori sono sgargianti, lo schermo viene invaso da simboli in mandarino che si sfaldano in una musica allegra, ritmata. Un jingle persistente, cantato da voci squillanti.

xiao tu zi guai guai,
bai men kai kai,
kuai dian Kai Kai..

L'orologio segna le undici e venti di sera. Il turno in fabbrica ricomincia in otto ore. Sul pavimento sono sparsi un paio di cartocci di cibo da asporto, delle bacchette. Il divano in pelle sintetica scricchiola sotto il suo peso, mentre lui si inclina in avanti con il busto, gli occhi neri dilatati nel buio, schiantati sulle immagini della televisione. Qualcosa in quel mostriciattolo che ingurgita spaghetti di riso essicati gli strappa un accenno di risata asciutta, spenta. La musichetta martellante, forse. Si accende una sigaretta, infilando le dita nei capelli unticci per la stanchezza e tirandoli indietro. Sul tavolino davanti a lui, un posacenere strabocca mozziconi spenti e uno straccio da cucina è ordinatamente disteso. Sopra lo straccio da cucina, sono disposti con cura millimetrica i pezzi smontati di un Nightwind. Una boccetta di grasso per la manutenzione. Un secondo brandello di stoffa, che recupera dopo aver posato l'accendino. Il fucile dissezionato non condivide nulla dell'incuria che sembra regnare nel resto della stanza. Posizionato con precisione invidiabile, con un sistema rigido. Bagna il tessuto nel grasso, sollevendo la cannula e iniziando a pulirla con cura.

"Bu kai bu kai wo bu kai
ma ma mei hui lai.."

Canticchia sottovoce, le parole mozzate contro il filtro. Le mani si muovono meticolose in un rituale che conoscono a memoria. Un rituale che avviene identico, sera dopo sera. Notte dopo notte. Il fucile viene smontato. Pulito. Rimontato. Poi riposto con cura nella sua scatola. Nascosto insieme al resto delle armi nella cavità del pavimento sotto al letto. Tutte ricevono le stesse cure, le stesse attenzioni, per poi tornare nascoste sotto la stessa botola. Anche questa notte. Quando finisce di rimontare il Nightwind fa scattare il meccanismo con un colpo secco delle braccia, la cenere cade sul pavimento di bambù. Gli occhi vanno all'orologio.
Meno di sette ore all'inizio del turno in fabbrica.

wo yao jin lai
jiu kai jiu kai wo jiu kai

La scatola viene richiusa con un suono secco. La botola celata dalla stuoia di bambù si apre con uno sfregare di piatrelle fredde. La stuoia viene riposizionata. Lui torna a lasciarsi cadere sul divano, la pelle scricchiola di nuovo sotto il suo peso. Allunga le mani verso il pacchetto di sigarette, ne estrae un'altra. Nel posacenere c'è mozzicone in più. L'accendino scatta, il tabacco brucia sotto il peso della prima boccata di fumo. La holo-tv promette un futuro brillante, migliorato dall'ultimo ritrovato tecnologico nel campo della guerra alla calvizia precoce. 
Sei ore e mezza all'inizio del turno in fabbrica.
E' circa l'una e dieci di notte quando viene colpito dalla limpida consapevolezza del proprio futuro. Ha spostato gli occhi dallo schermo all'orologio, ora li tiene sulle lancette. Sul percorso inesorabile che compiono verso la campana di inizio della catena di montaggio.

Capital City, 2513 - Notte

I vetri oscurati del Thor lasciano intravedere una coltre di luci sintetiche che si spalmano nel buio dalle facciate dei grattacieli. Sta seduto in silenzio, come sono in silenzio tutti. Il giubbotto antiproiettile allacciato stretto, i guanti sfregano contro la canna del fucile. Pavel lo fissa. Lo fissa senza dire una parola da quando sono partiti. L'uomo sta seduto di fronte a lui, gli occhi chiari, di ghiaccio, il cranio glabro. Robin non guarda Pavel, ma Pavel guarda Robin. Quasi sobbalza, nel sentire la sua voce, l'accento di Koroleva che rimbalza contro le sue orecchie.

"Da dove viene quello?"
Pavel indica con un cenno del mento verso il ciondolo di cuoio che lui tiene al collo. 
"Me lo ha regalato Nadia."
"Capisco."
Per alcuni momenti il silenzio ricade. Poi il Comandante, come lo chiamano, prosegue.
"Do you like her?"
Lui non risponde. Porta gli occhi sull'uomo, si limita a sollevare le spalle in un cenno vago. Pavel lo valuta. Lo divora, gli passa attraverso. Sorride, inspirando a fondo e annuendo a qualcosa che nessuno ha detto.
"Sai cosa devi fare."
"Lo so."
"Sai perchè."
"Lo so."
Pavel sorride, inclinando un solo lato della bocca. 
"Come here."
Un ordine ruvido, che gli lascia addosso prima di piegarsi in avanti, afferrandolo dietro la nuca e spingendo la testa contro la sua. La fronte sbatte contro quella di Robin, lui risponde alla stretta serrando le dita contro la nuca pelata di Pavel. Prese forti. Crude. Tendono i muscoli delle spalle.
"Sono fiero di te. Sei come un figlio."
Gli occhi gli si serrano, la gola anche. 

Meili, Labour Town, Dicembre 2516 - Notte

E' circa l'una e dieci di notte quando viene colpito dalla limpida consapevolezza del proprio futuro. 
Si alza, cammina a piedi scalzi sul bambù. La sigaretta viene spenta nel posacenere insieme alle altre, rigurgita cenere aggiungendosi ai cadaveri delle compagne. La luce al neon del bagno ronza come uno sciame di zanzare quando la accende, aggrappandosi con le dita ad una cordicina collegata all'interruttore. L'immagine che gli rimanda lo specchio sopra al lavandino si appiattisce nell'illuminazione fredda. Allunga la mano verso un armadietto, estrendo una scatola di rasoi da barba. Apre la testina con cautela, ricavandona una lametta metallica, affilata, sottile come carta. Si siede a terra, osservandola con attenzione. Riflette, sistematico, sulla modalità migliore da seguire. Se iniziare con il polso destro o con quello sinistro. Se iniziare dal basso e andare verso l'altro, o viceversa. 
Sono circa le due quando decide di voler essere originale, e sceglie di tagliarsi prima il polso destro con la mano sinistra anche se non è mancino. Dall'alto verso il basso. E solo dopo tagliarsi il polso sinistro con la mano destra. Sempre dall'alto verso il besso.
Lo trovano alle sette meno dieci del mattino. 
Mancano dieci minuti all'inizio del turno in fabbrica.